Il principio è stato rimarcato dalla sesta sezione della Cassazione penale con la sentenza n. 52209/2018 per effetto della quale è stata annullata la misura degli arresti domiciliari disposta a carico di un libero professionista tra l’ altro accusato di avere, con collusione e mezzi fraudolenti, turbato una gara indetta da un Comune messinese per l’ affidamento di un incarico di progettista in relazione a opere di riqualificazione di un impianto sportivo. Il professionista si è rivolto alla Suprema Corte contro la misura restrittiva muovendo una serie di obiezioni tra cui appunto l’ insussistenza del delitto di turbativa d’asta e, in particolare, dell’ elemento oggettivo della gara, dal momento che nella fattispecie si trattava di un appalto di importo inferiore a 40mila euro, aggiudicato dalla stazione appaltante mediante affidamento diretto secondo l’ articolo 36, comma 2, lettera a), del Codice dei contratti pubblici (Dlgs 50/2016), mentre con l’ articolo 353 del codice penale viene sanzionato appunto «chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche amministrazioni». La corte ha rilevato che al riguardo che nell’ ipotesi esaminata non poteva dirsi integrata una gara per il solo fatto della pluralità dei professionisti interpellati per richiedere preventivi di parcella, quando ciascuno di costoro – come in effetti pareva essere in concreto accaduto – presenti indipendentemente la sua offerta e l’ amministrazione conservi piena libertà di scegliere secondo criteri di convenienza e opportunità propri della contrattazione privata.