La revoca di un affidamento è legittima anche se è successivo alla stipula del contratto, quando è motivato dalla mancata pubblicazione del bando e dal risparmio di risorse finanziarie per reinternalizzazione del servizio appaltato. Questo è il principio espresso dalla sentenza n. 12485/2018 del Tar Lazio secondo cui «il presupposto per un legittimo esercizio del potere di annullamento di ufficio non può» sostanziarsi nel solo «mero ripristino della legalità, occorrendo dar conto della sussistenza di un interesse pubblico attuale e concreto alla rimozione dell’ atto». La stazione appaltante, tra le motivazioni, ha evidenziato l’ esigenza di assicurare un risparmio di risorse pubbliche attraverso una reinternalizzazione del servizio originariamente appaltato. Infatti, prosegue la sentenza, la decisione di annullare un provvedimento implica sempre «una comparazione» tra l’ interesse pubblico «e l’ entità del sacrificio imposto all’ interesse privato» considerando la circostanza che l’ intensità di quest’ ultimo risulta proporzionale al tempo trascorso. «L’ intensità della motivazione, pertanto, dipende anche dal legittimo affidamento, maturato dall’ interessato alla conservazione del bene della vita (Tar Campobasso, n. 219/2012; Tar Puglia, Lecce, n. 863/2012)». Tuttavia, l’ annullamento d’ ufficio, «che intervenga entro breve tempo () quando le situazioni giuridiche coinvolte non si siano consolidate, è soggetto a un obbligo di motivazione attenuato (Tar Sardegna, n.437/2012)».
Il provvedimento di secondo grado, di annullamento, pertanto si contraddistingue per l’ alto contenuto discrezionale «con il quale l’ amministrazione persegue la tutela dell’ interesse pubblico nella sua dinamicità temporale, senza poter prescindere dalla comparazione del medesimo con gli interessi privati coinvolti, ancorando a presupposti oggettivi e a una rigorosa motivazione la decisione di cambiare idea rispetto a una decisione già presa».