Il danno da affidamento diretto

La Corte dei Conti sezione giurisdizionale del TAA –  Bolzano interviene su un caso di affidamento diretto chiamata a verificare e quantificare il danno alla concorrenza cagionato (sentenza del 10 gennaio 2020 n. 1).

I giudici hanno precisato che  “Il danno alla concorrenza rappresenta una lesione del patrimonio pubblico che consegue al mancato risparmio derivante dall’omesso ricorso alle regole dell’evidenza pubblica che, come quota percentuale di mancato ribasso, viene ingiustamente perduta, in misura percentuale, su ogni singolo (maggiore) pagamento che viene effettuato. Al pari delle altre figure di danno erariale, però, il danno alla concorrenza non può discendere dalla mera inosservanza delle regole dell’evidenza pubblica che rappresentano certamente un indizio di pregiudizio, per il sospetto che il prezzo contrattuale non corrisponda al minor prezzo che si sarebbe potuto ritrarre dal confronto di più offerte. Così, affinché il sospetto possa tradursi in elemento di prova è necessario dimostrare che effettivamente nel caso concreto la violazione delle norme sulla scelta del contraente abbia determinato una maggiore spendita di denaro pubblico, dimostrazione che potrà essere raggiunta con il ricorso ad ogni idoneo mezzo di prova, quale può essere la comparazione con i prezzi o con i ribassi conseguiti a seguito di gara per lavori o servizi dello stesso genere di quello in contestazione: infatti, il “danno alla concorrenza”, non può ritenersi sussistente in re ipsa, dovendosi provare, da parte dell’attore, che la deviazione dai parametri di una corretta azione amministrativa abbia comportato un effettivo danno patrimoniale all’Ente pubblico, che va provato attraverso la quantificazione della somma che l’Amministrazione avrebbe potuto risparmiare ove fosse stata regolarmente espletata la prevista procedura di gara. Pertanto, in presenza di una contestazione generica relativa ai servizi affidati senza gara e la produzione di una mera tabella che, tuttavia, non offra gli elementi per dimostrare che sia stata effettuata di un’attendibile indagine esplorativa centrata su un adeguatamente circoscritto ambito territoriale, su una più aderente contestualità temporale e su una quanto meno tendenziale analogia tipologica con le attività di cui si discute, non è ravvisabile alcun parametro sufficientemente congruo allo scopo di fornire idonea dimostrazione (pur secondo il criterio valutativo del ‘più probabile che non’) della sussistenza del danno in parola. Diversamente, infatti, si darebbe ingresso ad una sorta di concezione sanzionatoria della presente figura di responsabilità, così prescindendo dal basilare principio di concretezza e attualità del danno. Pacifica l’impraticabilità di poteri istruttori di sorta da parte dell’Organo giudicante, va dunque (anche qui) ribadito che la prova dell’an della ravvisata lesione erariale è di esclusiva pertinenza dell’Organo requirente, non essendo ammissibile una prospettazione fondata sulla mera violazione delle regole della concorrenza, come se la stigmatizzata pretermissione delle medesime configurasse automaticamente un nocumento in re ipsa. Peraltro, non possono avere valenza probatoria neppure le percentuali di ribasso praticate prodotte dal resistente in quanto queste rilevano solo per l’eventuale quantificazione del danno nell’ipotesi di riconoscimento della sussistenza del medesimo. Pertanto, la non dimostrata sussistenza del presupposto oggettivo della contestata responsabilità (che determina l’assorbimento di ogni ulteriore questione) implica in definitiva l’assoluzione dell’odierno convenuto.”