Il rinvio a giudizio per bancarotta fraudolenta se non dichiarato porta all’esclusione: due opposti orientamenti a confronto

L’omessa dichiarazione, da parte di una società concorrente ad una gara pubblica, del rinvio a giudizio del proprio legale rappresentante per bancarotta fraudolenta comporta l’esclusione della stessa dalla procedura, non avendo con tale condotta consentito alla stazione appaltante di valutare la rilevanza dei fatti sottesi al rinvio a giudizio sotto il profilo della sussistenza dell’illecito professionale nonché dell’integrità ed affidabilità dell’operatore. Lo ha riconfermato il TAR Campania Salerno sez. I nella sentenza del 6 giugno scorso n. 632.

In particolare nella sentenza si da atto degli opposti orientamenti attualmente esistenti. Si legge “Il Collegio non oblitera l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale secondo cui l’eventuale rinvio a giudizio dell’amministratore di un operatore economico nonché l’applicazione di una misura cautelare per i medesimi reati, non costituirebbero adeguati mezzi di prova della commissione di un grave illecito professionale, che comporterebbe l’esclusione dalla gara ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del D.lgs. n. 50 del 2016, con la conseguenza che la loro omessa dichiarazione non configurerebbe la causa di esclusione dell’operatore ai sensi della successiva lett. c-bis (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 7 febbraio 2019, n. 258). Il Collegio ritiene tuttavia preferibile l’opposto orientamento, in base al quale, anche oltre le ipotesi tipizzate dall’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. n. 50/2016, sussiste in capo all’operatore un obbligo di dichiarare fatti ragionevolmente idonei a compromettere la professionalità e l’affidabilità. In base a quest’ultimo preferibile indirizzo, il rinvio a giudizio per fatti di grave rilevanza penale, al pari dell’adozione di un’ordinanza di custodia cautelare a carico dell’amministratore della società interessata, ancorché non espressamente contemplato quale causa di esclusione dalle norme che regolano l’aggiudicazione degli appalti pubblici, può astrattamente incidere sulla moralità professionale dell’impresa (C.d.S., Sez. V, decisione n. 1367 del 27.02.2019; T.A.R. Veneto, sez. I, 13/1/2020, n. 39); sussistendo l’obbligo di dichiarare tutti i fatti rilevanti ai fini della moralità professionale delle imprese partecipanti, il partecipante non può non essere tenuto a dichiarare anche i rinvii a giudizio o misure restrittive, anche se non espressamente contemplati quali cause di esclusione dalle norme che regolano la aggiudicazione degli appalti pubblici, e anche a prescindere dalla sottoscrizione dei cd. “patti di integrità” (T.A.R. Toscana, Firenze, sez. I, 7/2/2020, n. 180; T.A.R. Piemonte, sez. I, 23 agosto 2019, n. 959). Insomma, «sussiste l’obbligo di dichiarare sempre e senza eccezioni le condanne (o anche solo le contestazioni) relative alle violazioni di norme riconducibili alla categoria in parola» (Cons. Stato sez. V, 23 dicembre 2019, n. 8711). Nello specifico, va affermata la sussistenza di un obbligo dell’impresa di dichiarare la sottoposizione a giudizio penale per un reato che può avere incidenza sulla affidabilità imprenditoriale e sulla professionalità. E’ evidente quindi che l’atipicità (sia pur nei limiti sopra descritti) dei fatti suscettibili di determinare l’inaffidabilità morale della partecipante, non essendo tipizzabile a priori, ne impedisce la traduzione in moduli prestampati e richiede, invece, uno sforzo informativo ulteriore da parte della partecipante che va apprezzato alla luce dei principi di correttezza e buona fede (cfr. T.A.R. Toscana, sez. I, 9 gennaio 2019, n. 53). In particolare, nel caso in esame il reato per il quale è stato disposto il rinvio a giudizio è, tra i reati in materia economica e afferenti alla gestione di impresa, particolarmente grave, sia per la pena edittale, sia per le pene accessorie, consistenti nell’inabilitazione all’esercizio dell’impresa commerciale, nell’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, e nell’incapacità di contrattare con la P.A. (l’art. 216 L. Fall., che prevede il reato di bancarotta fraudolenta, rinvia alle pene accessorie previste nel capo III, titolo II libro I del c.p., tra cui rientra l’art. 32 ter c.p. che disciplina la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la P.A.); ne discende che il reato di bancarotta fraudolenta rientra in astratto nell’autonoma previsione residuale escludente di cui all’art. 80, comma 1, lett. g), D.Lgs. n. 50/2016 («ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione»).”