La informativa antimafia è giudicata dalla G.A

La informativa antimafia ricade tra le materie delegate al giudice amministrativo e  “la  pronuncia del giudice della prevenzione penale non produca un accertamento vincolante, con efficacia di giudicato, sul rischio di infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata .

Lo ha deciso la terza sezione del Consiglio di Stato In due sentenze del 2 febbraio 2021 n.957 e del 4 febbraio n. 1049.

La sezione ha ricostruito la questione alla luce delle criticità costituzionali relevate nella normativa di cui al Codice antimafia. Sul punto ha precisato che la valutazione del giudice della prevenzione penale si fonda su parametri non sovrapponibili alla ricognizione probabilistica del rischio di infiltrazione, che costituisce invece presupposto del provvedimento prefettizio, e rispetto ad essa si colloca in un momento successivo. Non è pertanto casuale che nella sistematica normativa il controllo giudiziario (e le relative valutazioni: inclusa quella sull’ammissione) presupponga l’adozione dell’informativa: rispetto alla quale rappresenta un post factum. Pretendere di sindacare la legittimità del provvedimento prefettizio alla luce delle risultanze della (successiva) delibazione di ammissibilità al controllo giudiziario, finalizzato proprio ad un’amministrazione dell’impresa immune da (probabili) infiltrazioni criminali, appare dunque operazione doppiamente viziata: perché inevitabilmente diversi sono gli elementi (anche fattuali) considerati – anche sul piano diacronico – nelle due diverse sedi, ma soprattutto perché diversa è la prospettiva d’indagine, id est l’individuazione dei parametri di accertamento e di valutazione dei legami con la criminalità organizzata.La Sezione ha anche  affrontato anche la questione relativa alla illegittimità costituzionale dell’attuale disciplina delle relazioni fra prevenzione amministrativa e prevenzione penale antimafia (“artt. 83 ss., d.lgs. n. 159 del 2011 in relazione all’art. 34 bis codice antimafia per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 41 Cost.”). La questione concerne la soglia di ammissione al controllo giudiziario, e la pretesa disparità di trattamento che si creerebbe fra un’impresa – quale l’appellante – giudicata a rischio d’infiltrazione dalla Prefettura ma non abbastanza dal giudice della prevenzione penale (al punto da non essere ammessa al controllo giudiziario), e l’impresa che invece, superando tale soglia, e dunque presentando un maggior rischio d’infiltrazione (“non occasionale”), paradossalmente si gioverebbe di un regime più favorevole, consistente nella prosecuzione (sia pure controllata) dell’attività d’impresa.
​​​​​​​In questi termini la questione, in disparte la verosimile erroneità del suo presupposto interpretativo (per le ragioni, indicate al punto precedente, relative al diverso oggetto della valutazione del giudice della prevenzione penale rispetto a quello considerato dall’autorità amministrativa), difetta comunque del requisito della rilevanza, posto che, riguardando le condizioni di accesso al controllo giudiziario, andrebbe sollevata in quella sede giurisdizionale: tanto che la questione stessa è argomentata dall’appellante con riferimento alle pronunce (e al dedotto contrasto tra le stesse) della Prima Sezione penale della Corte di Cassazione e delle SS.UU. penali.