Se non c’è impegno di spesa non c’è interesse legittimo

Il Consiglio di Stato sez. V del 17 ottobre 2019 n. 7056 e successiva conferma del Tar del Lazio sez. II del 21 ottobre 2019 n.12109 ha  statuito che è impossibilità qualificare il debito fuori bilancio come attività discrezionale di tipo amministrativo e, quindi,  la maturazione del credito dell’impresa nei confronti dell’ente rientra in un diritto soggettivo, a prescindere dalle vicende contabili della sua o meno imputazione nel bilancio di previsione, dove il riconoscimento del debito fuori bilancio è una delle possibili azioni per sanare il mancato pagamento del creditore, senza che ciò possa condurre a qualificare il mancato riconoscimento con l’azione del silenzio inadempimento, ossia ricorrendo ai rimedi previsti dal giudice amministrativo per il soddisfacimento di un interesse legittimo. Nella fattispecie  nel “rapporto intervenuto tra l’impresa e l’ente locale discendono da lavori commissionati in via diretta per somma urgenza e, una volta eseguiti i lavori, l’appaltatore ha maturato il diritto di credito al pagamento delle somme dovutegli quali corrispettivo per l’opera prestata. In questo caso si è in presenza di un’obbligazione pubblica, il cui adempimento da parte della pubblica amministrazione può avvenire con modalità procedurali diverse, tra le quali, appunto, il riconoscimento del debito fuori bilancio (articolo 191, comma 4, lettera e) del Dlgs n. 267). Ma la discrezionalità dell’ente, sulla scelta del pagamento dei propri debiti fuori bilancio, non può qualificarsi come “potere” ma come “obbligo”.