Le segnalazioni anonime nell’anticorruzione: una cultura da costruire

La ricorrente, Dirigente scolastica, era stata accusata di atti persecutori (mobbing e bossing) da un’assistente amministrativa, che aveva presentanto un esposto nei suo confronti a seguito del quale l’Ufficio scolastico regionale aveva avviato un’indagine ispettiva.
La ricorrente, quindi, presentava richiesta di accesso agli atti; richiesta che veniva accolta solo in parte, negando l’accesso ad alcune parti della relazione ispettiva al fine di tutelare la riservatezza dell’identità dei soggetti auditi ed il contenuto delle loro dichiarazioni. I resistenti, invece, giustificavano l’esclusione dell’accesso richiamando l’art. 54-bis del d.lgs. n. 165/2001, “che, al fine di tutelare il dipendente pubblico che segnali illeciti, garantisce l’anonimato del denunciante e sottrae ad accesso la segnalazione dell’illecito”.
Tuttavia, secondo il Tar Campania, la fattispecie non può essere ricondotta nell’alveo dell’art. 54-bis. Infatti, l’istituto del whistleblowing, finalizzato al contrasto dei fenomeni corruttivi, è volto a garantire tutela a quei dipendenti che segnalino alle autorità competenti illeciti di cui sono venuti a conoscenza in ragione del loro rapporto di lavoro, al fine di garantire l’integrità della Pubblica Amministrazione. In tal caso, qualora il whistleblower subisca misure discriminatorie, è concessa la tutela.
Nel caso di specie, però, l’esposto non era stato presentato a nessuna delle Autorità indicate dall’art. 54-bis, comma 1, – l’Autorità Nazionale Anticorruzione o l’autorità giudiziaria ordinaria o contabile -, e la segnalante non aveva neppure agito a tutela dell’integrità dell’Amministrazione, bensì di interessi di natura personale. La vicenda, pertanto, rientra in una “ordinaria controversia di lavoro”, non potendo le segnalazioni riguardare “lamentele di carattere personale del segnalante o richieste che attengono alla disciplina del rapporto di lavoro o ai rapporti con superiori gerarchici o colleghi, disciplinate da altre procedure” (cfr. ad es. la Circ. 28 luglio 2015, n. 64 dell’I.N.A.I.L. o la Circ. 26 marzo 2018 n. 54 dell’I.N.P.S.)”.
Nel caso in esame non sussisteva neppure la necessità di garantire l’anonimato della segnalante, essendo la sua identità nota alle parti, inclusa la Dirigente ricorrente.
Il Tar, inoltre, non ravvisa neppure la necessità di tutelare l’identità e la riservatezza dei soggetti auditi poiché le loro dichiarazioni non attengono alla sfera privata e personale, bensì a fatti ed episodi relativi alla controversia lavorativa tra la ricorrente e la denunciante.

Silvia Saccone