Il Sindaco, gli Assessori e i Consiglieri comunali, con il primo ricorso rg. 8367/2017, sostenevano la violazione dell’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000, “eccesso di potere per carenza dei presupposti, travisamento dei fatti, illogicità manifesta, carenza di istruttoria, sviamento di potere, in quanto mancherebbero “ concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata”, atteso che i fatti riportati sarebbero inidonei ad attestare il condizionamento mafioso dell’ente commissariato. Il provvedimento non avrebbe tenuto conto dell’intensa attività della Giunta per contrastare il fenomeno mafioso e di altre circostanze che svalorizzano la portata indiziaria degli elementi richiamati dall’Amministrazione”.
Con il secondo ricorso, rg. 10568/2017, un consigliere comunale e membro della Giunta aveva impugnato il provvedimento articolando quattro motivi di doglianza: la violazione della legge sul procedimento amministrativo per omessa comunicazione di avvio del procedimento; violazione dell’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000 per omessa indicazione delle anomalie riscontrate e degli amministratori responsabili, nonché per difetto dei requisiti di concretezza, univocità e rilevanza, inesistenza di irregolarità nell’esercizio dell’attività amministrativa; eccesso di potere.
Con riguardo al primo ricorso, sulla base di una giurisprudenza consolidata e condivisa, il Tar ne ha dichiarato l’infondatezza, affermando che lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose è un provvedimento preventivo, essendo pertanto sufficienti elementi indizianti tali da consentire l’individuazioni della sussistenza di un rapporto inquinante tra l’organizzazione mafiosa e gli amministratori dell’ente. Si tratta di una misura di carattere straordinario, finalizzata alla tutela della collettività in presenza di situazioni di emergenza straordinaria. L’art. 143, come affermato dal Tar, “consente l’adozione del provvedimento di scioglimento sulla scorta di indagini ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale, ma sulla scorta di circostanze che presentino un grado di significatività e di concludenza serio, anche se – come detto – di livello inferiore rispetto a quello che legittima l’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza”.
Il provvedimento di scioglimento, come emerge dalla Relazione del ministro degli interni, era stato adottato a seguito di indagini dalle quali erano emerse contiguità tra la famiglia di un amministratore locale e gli esponenti delle consorterie mafiose locali. Il Comune, poi, non aveva mai aderito al protocollo di legalità e ciò aveva evitato la richiesta delle certificazioni antimafia alle ditte esecutrici dei lavori, tra l’altro affidati sempre agli stessi operatori economici con appalti sotto soglia.
Durante la procedura per l’affidamento della gestione di un albergo di proprietà del Comune, dopo la risoluzione per inadempimento del contratto in essere, era stato pubblicato un avviso per l’acquisizione di manifestazioni di interesse a cui aveva risposto una sola ditta, con socio una persona condannata per reati associativi. Il Sindaco, come è emerso dalle indagini, aveva organizzato un incontro con il socio dell’impresa e un imprenditore ucciso nel 2016 per verificare la possibilità di far partecipare alla gestione della struttura anche il fratello di quest’ultimo.
Ancora, nell’anno scolastico 2015-2016, il servizio di trasporto scolastico, a seguito di rinuncia dell’aggiudicataria, veniva affidato ad un’impresa di cui era socio uno dei consiglieri comunali poiché nessun’altra azienda aveva presentato domanda di partecipazione. Tuttavia, a seguito della segnalazione di un consigliere comunale era emerso che un’altra azienda aveva presentato domanda.
Anomalie sono emerse anche con riferimento alla procedura per l’affidamento del servizio di gestione dei depuratori comunali. Dopo numerose proroghe, con procedura ad evidenza pubblica, l’ente aveva affidato il servizio ad una ditta, nonostante l’offerta con il maggior ribasso fosse stata presentata da un’altra società.
Pertanto, dalla relazione del Ministero dell’interno emergono numerose irregolarità negli affidamenti, caratteristica degli ambienti infiltrati dalla criminalità organizzata.
Dunque, i giudici del Tar hanno affermato che “il quadro fattuale posto a sostegno del provvedimento di scioglimento ex art. 143 […] regge alle argomentazioni della parte ricorrente”, dichiarando infondato il ricorso.
Con riguardo alla doglianza dell’omessa comunicazione di avvio del procedimento, la giurisprudenza condivisa ha affermato che non è necessaria vista la natura preventiva e cautelare del provvedimento, che tra l’altro non riguarda direttamente persone, ma l’ente locale nel suo complesso.
Il ricorso proposto dal Consigliere comunale, è stato dichiarato irricevibile in quanto depositato dopo trenta giorni, oltre il termine di 15 giorni previsto dall’art. 119, comma 2, c.p.a.
Silvia Saccone